La scacchiera - Parte a: 'studio di un'opera'
Riassunto
e commento a "Mies Van der Rohe-lo spazio totale"
di
Antonino Saggio
da
‘Architettura e modernità, dal Bauhaus alla rivoluzione informatica’_pag. 76-82
«Il
lavoro dell’architetto è come un linguaggio. E penso sia necessaria una
grammatica, per avere un linguaggio. Puoi usarla in modo ordinario e parlare in
prosa, una prosa meravigliosa se sei capace, ma se lo fai davvero bene puoi
diventare un poeta (…)».
Ludwig Mies Van der Rohe nasce nel 1886 ad Aquisgrana e trascorre i suoi anni di vita, circa fino agli anni ’30 nella fondazione della rivista ‘G’ (abbreviazione di Gestaltung, ‘forma’), intorno alle attività del Novembergruppe e come insegnante e poi direttore del Bauhaus.
Nei suoi
primi progetti ritroviamo un tema verso cui egli rivolge subito interesse,
ossia la trasparenza e le le forme cristalliformi. Questi due temi sono
ripresi in due progetti di due grattacieli: ‘Grattacielo in vetro a pianta
poligonale’ e ‘Grattacielo in vetro a superfici convesse’. In entrambi si possono
subito identificare i punti chiave dei progetti. Innanzitutto, il vetro, a cui
Mies attribuisce un significato anche simbolico, concetto tipico della corrente
Espressionista, in grado di rivelare luce, ombra, profondità. Nel primo caso poi, si ritrova in pianta un
nucleo centrale servente e le zone servite a esso collegate, disposte in tre
aree agganciate al core, ognuna con il proprio andamento ed orientamento.
L’origine della forma è la necessità di massimizzare le superfici esterne e
quindi moltiplicare aperture e pareti trasparenti per l’illuminazione. È
importante ricordare che le disposizioni interne seguono poi successivamente le
forme specifiche, a supporto di un concetto nuovo introdotto dall’architetto, ossia
l’open plan. Anche in questo caso le pareti esterne sono piegate in modo
tale da creare trasparenze, superfici permeabili alla luce e rifrangenze. Piano
piano, in seguito a questi due progetti, risalenti agli anni 1920-22, Mies approfondirà
anche altri nuovi temi, quali l’arretramento della struttura portante dal filo
esterno dell’edificio.
Un altro punto fondamentale nella definizione della dialettica di Mies è il progetto per la Villa in mattoni del 1923, nel quale vengono messi a punto i suoi studi sulla disarticolazione in lastre bidimensionali e sull’uso del piano e delle diverse azioni che esso può subire, quali sfasamento, slittamento, incrocio. La sua scoperta risiede principalmente nell’applicazione della grammatica scompositiva non solo in alzato, ma ‘in pianta’, generando una nuova concezione di spazio. Uno spazio totale.
L’idea di
spazio quindi, con Mies, fa un salto in una direzione differente. Per Gropius,
infatti, l’idea dello spazio era legata a un movimento di punti sulle tre coordinate
e i volumi venivano quindi a crearsi con un movimento meccanico di ingranaggi,
perciò, lo spazio esterno non esiste senza l’oggetto e può essere quantizzato
tecnicamente. Per Le Corbusier, invece, ricordiamo il concetto dei ‘volumi puri
sotto la luce’, per cui lo spazio ha un ruolo duplice, sia come fluido magico,
sia come polmone di aria, luce e verde per l’uomo. Entrambe le concezioni
ruotano intorno ad una concezione dualistica di architettura e ambiente, tra
interno ed esterno, che con Mies, viene a mancare. Nel progetto precedentemente
citato, la Villa in mattoni, si nota in pianta lo sviluppo di uno spazio
libero, un continuum libero e aperto, definito e direzionato da
volumi che non si chiudono mai. Egli enfatizza l’idea di uno spazio totale, che
sia coperto o scoperto, definito poi da setti che lo vanno a segmentare ma
mai dividere nettamente. Non ha
quindi importanza l’esaltazione o l’individuazione di cosa è interno e cosa
esterno, coperto o scoperto, perché tutto è fluido e totale.
Da
questo nasce anche il mio interesse nell’analizzare questo architetto in
particolare, poiché tra le caratteristiche fondamentale del progetto che si sta
venendo a creare individuo quella della comunicazione e del reciproco
assorbimento tra l’architettura e la natura circostante, senza una obbligata
distinzione tra il contesto e gli spazi ‘interni’, senza un’interruzione
volumetrica e visiva eccessiva del paesaggio. Guidata anche dal programma e
dallo scopo del progetto, ossia la realizzazione di uno spazio per l’accoglienza
e la cura della fauna selvatica, collocandosi a ridosso di una rupe ricoperta
di verde, il progetto cercherà di dialogare in maniera più gentile possibile
con l’ambiente nel quale si andrà a collocare.
Un
altro noto progetto di Mies è il Padiglione tedesco a Barcellona realizzato nel
1929, nel quale viene definitivamente espressa la concezione dello spazio
totale. In questa rientra anche quindi l’introduzione di nuovi piani, il cielo
e il terreno. Anch’essi prendono parte nel processo ideativo del progetto, e
vengono anch’essi tagliati, frammentati; il terreno quindi si articola in piani
differenti, che siano di pietra, di acqua, di superfici trasparenti o
riflettenti o verdi. Tutte coinvolte, compresa l’acqua, che diventa un nuovo
elemento chiave. Anche questo concetto rappresenta un buono spunto di
riflessione nella fase di ideazione delle strategie idriche del progetto dell’Area
102 di Aniene Rims, specialmente nel caso di quelle già individuate riguardanti
il ‘convogliare’ e ‘assorbire’.
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