Imprinting - Un 'luogo della memoria'
Quieto
scorgere
Sono
ferma da un po’ a guardare questa pagina, pensando al significato del termine
‘imprinting’ e cercando di trovare nella mia mente un’immagine che vi si
ricolleghi.
Ho
deciso di provare a fermarmi e guardare altrove, e far scorrere via per un
attimo il presente.
Ed
ecco che è riemersa immediatamente un’immagine. In realtà, una serie di
immagini, tutte appartenenti ad uno stesso luogo: Campo Tures, in Trentino-Alto
Adige. Mi immergo nella prima scena che riesco a visualizzare ed ecco che
riescono fuori anche tutte le altre. Non sono certa appartengano tutte allo
stesso preciso arco temporale, perché sono stata in quei luoghi molte volte
durante la mia infanzia; perciò, alcuni ricordi si incastrano tra loro, altri
si sovrappongono, alcuni sono più definiti, altri un pochino più sfocati, ma
alla fine compongono insieme il disegno sulla tela che sto immaginando. Per
inquadrare un pochino il luogo, Campo Tures è un Comune della Provincia di
Bolzano, con poco più di cinquemilacinquecento abitanti, nel mezzo della Valle
Aurina, tra boschi, cascate, piane infinite di verde e montagne, che anche in
piena estate presentano cime colorate dalla neve.
Tornando
alla prima scena, sono in un campo, è mattina e il cielo è un’enorme macchia
azzurra, senza nessuna imperfezione, e io cammino di fianco a mia mamma, che mi
indica i ciuffi di cicoria da strappare. La cucineremo per pranzo, più tardi.
Non ha piovuto ma l’erba è bagnata e sia gli scarponcini che la porzione
inferiore dei pantaloni è bagnata. C’è un delicato odore di natura, e di
fresco, quando il grosso cane della proprietaria di casa si avvicina e io
inizio a giocarci, allontanandomi un pochino da mia madre. Saltellando arrivo fin dietro la casa, là dove il
terreno inizia ad inclinarsi e sale pian piano nel bosco. Ho trovato una
panchina poco più su, mi siedo, con qualche mora raccolta lungo la strada e il
cane vicino a me.
Da
qui su riesco a vedere tutto. C’è mia mamma giù nel campo, di fianco a lei un
grandissimo recinto, composto da grossi assi in legno inchiodati, e dentro ci
sono un piccolo asino e un cavallo. Dalla parte opposta, la grossa casa in cui alloggiamo
insieme ad un altro paio di famiglie: il tetto a falda, con delle grosse travi,
i muri in pietra e massicci balconi in legno, ornati di moltissimi fiori, gerani
rossi, bianchi, rosa. Alcuni altri
bambini giocano davanti casa e intravedo anche mio padre e mia sorella e mia
sorella seduti sotto alla veranda. La giornata, per i proprietari di casa, è
già iniziata da tanto, e sono già nella fattoria dietro il recinto a lavorare,
e sicuramente da qualche parte più in là nel paese, si respira un’atmosfera più
frenetica, più movimentata, ma non qui. Qui ci si ripara, ci si muove e si
respira con un tempo diverso. Ogni passo nell’erba o nel bosco è consapevole e
ogni materiale ha un suo odore, una sua consistenza.
Di
scene come queste ne ricordo molte altre, perché tra una passeggiata e l’altra,
tra le visite nel paese e in quelli limitrofi, tra le passeggiate a cavallo e
le abbuffate di strudel e succo di mela in cima al rifugio, andavo spesso a
rintanarmi su quella panchina, o su altre, anche altrove, a guardare quello
scorcio o altri come quello. In alcuni passava un torrente, gelato e chiassoso,
che aggiungeva alla vista anche un suono, a lungo andare ritmico e rilassante.
Sin
da piccola ero solita allontanarmi un pochino e cercare un posto ‘mio’, e lì in
Trentino, un anno dopo l’altro, ne trovavo uno dove fermarmi per un po’ mentre
mamma preparava da mangiare e papà consultava la mappa dei sentieri per
decidere dove andare quel giorno.
Nonostante
ci abbia impiegato qualche istante per chiarire quale fosse il mio ‘luogo della
memoria’, queste immagini sono in realtà talmente radicate che riemergono ogni
anno, e ogni volta sento tutte le priorità e gli impegni del presente sfocarsi
e una forza che mi spinge in quella direzione, come se all’improvviso, ogni
tanto, quel luogo mi richiami a sé. E quindi spesso, anche a Roma, sento la
necessità di trovare un luogo da cui guardarmi intorno, fare più caso ai
dettagli, agli odori, e trovarmi avvolta dal verde, dalla natura.
Ricollegandomi
un po’ al progetto, credo che questa sia una delle ispirazioni principali, un
filo conduttore di tutti e tre i programmi che ho prefigurato: un riparo, un
luogo per fermarsi un attimo, mettere un po’ in pausa la frenesia e la vista di
grossi palazzi e semafori, allontanarsi quanto basta per sentire il suono del
fiume piuttosto che delle auto, e respirare.
Respirare
così come facevo da bambina su quella panchina, un po’ più lentamente.
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